Con gli anni ho iniziato ad apprezzare sempre più le zuppe. Da piccola no. Le odiavo insieme alla carne e alla cipolla. Per fortuna, poi, l’età ci mette di fronte a situazioni che bisogna comunque affrontare. Perché le cose non risolte e che cerchiamo di sfuggire ce le ritroviamo sempre lì ad aspettarci e allora tanto vale prenderle di petto, prima o poi. Come quella volta che in vacanza a Napoli, a casa di amici di famiglia, mi sono ritrovata davanti ad un bel piatto di zuppa di cipolle. Due nemici in una volta sola era troppo. Così non mi restava che chiudere gli occhi e immaginare di mettere in bocca cucchiaiate di una portentosa pozione magica – il giallo dello zafferano nella zuppa, mi ha aiutata molto – capace di farmi diventare più forte e, soprattutto, insensibile al disgustoso. La magia è stata scoprire quanto è buona la zuppa di cipolle e zafferano.
Una lezione di vita. Ora non mi fermo davanti a nessun piatto, anzi vado alla ricerca di sapori mai provati. Mi incuriosiscono le paure culinarie degli altri. A volte si tratta di pregiudizi, di manie che non hanno nessun fondamento oppure semplicemente di esperienze negative. Ognuno di noi ne ha o ne ha avuta almeno una. Eppure le paure dovrebbero essere per i prodotti chimici e i conservanti all’interno dei cibi che ingeriamo.
Per tornare alla zuppa di cipolle allo zafferano, ho scoperto che è un piatto tipico di Napoli, chi l’avrebbe mai immaginato. Retaggio della dominazione francese degli Angiò, che importarono piatti della tradizione gastronomica del loro paese insieme al mestiere del Monzù, lo chef – persona di grande prestigio e privilegio – che all’epoca prestava servizio presso le famiglie aristocratiche del meridione d’Italia.
Perché la zuppa è anche storia.
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