C’è un’antica tradizione culinaria siciliana che viene rispettata puntualmente nel periodo natalizio. Mi ha colpita particolarmente per la sua gestibilità. Si tratta del capretto imbottito o, come lo chiamano loro, ciavareddùzzu o ciarbiduzzo abbuttunàtu. Si sceglie un esemplare di capretto da latte non più grande di 2 kg (regola ferrea che se non rispettata potrebbe compromettere l’esito della ricetta) e lo si riempie di cipolle, aglio, formaggio, menta e prezzemolo. Ora, sarà pure buonissimo, ma come si fa a riempire un intero capretto, dopo avergli tagliato la testa, averlo eviscerato, lavato e asciugato? E poi richiuderlo, cucendolo ben bene e introdurlo in un normale forno da cucina? Quanti giorni di cottura ci vorranno prima che sia pronto? E, soprattutto, qualora dovessi riuscire a compiere le operazioni precedenti, riuscirò a far entrare in casa un esercito di affamati pronti a dividersi il povero capretto?
Tutte queste domande non hanno motivo d’esistere se mi reco direttamente a Piazza Armerina, vicino Enna, presso l’Agriturismo Gigliotto dove i prodotti consumati sono quelli biologici dell’azienda – un antico monastero del 1300 – compreso il capretto. Ciazza – nome nella parlata locale di Piazza Armerina – è conosciuta per i mosaici, datati IV secolo d.C, della sua Villa Romana del Casale, considerata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Allo stesso secolo risale il Piacentinu Ennese, il formaggio tipico della zona (una sorta di pecorino stagionato con una manciata di zafferano e pepe nero) che fa da ripieno al ciarbiduzzo, regalandogli quel sapore inconfondibile e unico. Che all’UNESCO venisse in mente di proteggere anche il capretto imbottito?